Strage dei Georgofili

01.08.2019

Dario

Capolicchio

Fabrizio

Nencioni

Fabrizio

Nencioni

Nadia

Nencioni

Caterina

Nencioni

La strage dei Georgofili è stato un attentato di matrice terroristica/mafiosa compiutosi nella notte tra il 27 e il 28 maggio 1993.

Quella notte, l'esplosione di una bomba provocò la morte di Angela Fiume e Fabrizio Nencioni, delle loro figlie, Nadia e Caterina, e dello studente di architettura Dario Capolicchio, ferendo inoltre 41 persone.

Gli Uffizi, Palazzo Vecchio, la Chiesa di Santo Stefano al Ponte e tutti gli edifici intorno al luogo dove esplose l'ordigno, subirono gravi danni

ORGANIZZAZIONE DELL'ATTENTATO:

Nell'aprile 1993 un mafioso incaricò Vincenzo Ferro di portarsi a Prato dallo zio Antonino Messana, fratello della madre, per chiedergli di mettere a disposizione un garage per alcune persone che sarebbero arrivate dalla Sicilia, ma inizialmente Messana rifiutò.

Per queste ragioni, Calabrò si fece accompagnare a Prato da Ferro insieme a Giorgio Pizzo e convinse Messana con le minacce. A metà maggio, alcuni mafiosi di Brancaccio e Corso dei Mille (Gaspare Spatuzza, Cosimo Lo Nigro, Francesco Giuliano) macinarono e confezionarono quattro pacchi di esplosivo in una casa fatiscente a Corso dei Mille, messa a disposizione da Antonino Mangano.

Il 23 maggio Giuseppe Barranca, Gaspare Spatuzza, Cosimo Lo Nigro e Francesco Giuliano si portarono a Prato e vennero ospitati nell'appartamento di Messana, sotto la supervisione di Ferro, che li accompagnò con la sua auto nel centro di Firenze per effettuare alcuni sopralluoghi.

Nei giorni successivi, i quattro pacchi di esplosivo nascosti in un doppiofondo ricavato nel camion di Pietro Carra (autotrasportatore che gravitava negli ambienti mafiosi di Brancaccio) vennero trasportati a Galciana, frazione di Prato, dove vennero prelevati da Lo Nigro, Giuliano e Spatuzza - accompagnati sempre da Ferro con la sua auto - e scaricati nel garage di Messana.

Il 26 maggio Spatuzza e Signorino rubarono una Fiat Fiorino e la portarono nel garage dove sistemarono l'esplosivo.

All'1:04 del 27 maggio la bomba esplose in via dei Georgofili, portando la morte di 5 persone e il ferimento di una quarantina.

CONDIZIONE STORICA E INDAGINI:

Nel periodo della strage dei Georgofili, Cosa nostra era dedita un progetto di destabilizzazione delle istituzioni, attraverso il terrorismo di matrice mafiosa.

Grazie all'impegno di magistrati coraggiosi, tra cui Gabriele Chelazzi e Pier Luigi Vigna, l'inchiesta giudiziaria acquisì la certezza che si era trattato di una strage mafiosa, attuata con la precisa volontà di condizionare la vita politica e di ottenere favori per i mafiosi detenuti nelle carceri con il regime di massima sicurezza.

Nel '98 - durante il processo per le stragi del '93 - vennero condannate 10 persone, tra cui Spatuzza, Lo Nigro, Barranca, Giuliano, Ferro e Messana. Spatuzza, collaborando, rivelò che la strage dei Georgofili venne decisa in una riunione - nella quale era presente anche Matteo Messina Denaro - per colpire i luoghi di attrazione turistica. Nel 2013, venne condannato anche il pescatore Cosimo D'Amato, per aver recuperato l'esplosivo - usato in tutte le stragi del '93 - da residui bellici inesplosi, caduti in mare.

Firenze rispose immediatamente all'attentato con una mobilitazione compatta e unitaria.

COMMEMORAZIONI:

Ogni anno la strage viene ricordata con una cerimonia che si svolge nella notte tra il 26 e il 27 maggio e con altre iniziative promosse e sostenute dall'Associazione che raccoglie i familiari delle vittime.

Durante il processo, fu letta la poesia del Senatore a vita Mario Luzi:

«Sia detta per te, Firenze,
questa nuda implorazione.
Si levi sui tuoi morti,
sulle tue molte macerie,
sui tuoi molti
visibili e invisibili tesori
lesi nella materia,
offesi nell'essenza,
sulle tue umili miserie
ferma, questa preghiera.
I santi della tua storia
e gli altri, tutti,
della innumerabile corona
la portino in alto,
le soffino spirito e potenza,
ne cingano d'assedio
le stelle, i cieli,
le superne stanze:
«giustizia non ti negare
al desiderio degli uomini,
scendi in campo, abbi la tua vittoria!»
Sia detta a te, Firenze,
questa amara devozione:
città colpita al cuore,
straziata, non uccisa;
unanime nell'ira,
siilo nella preghiera.
Vollero accecarti, essi,
della luce che promani,
illumina tu, allora,
col fulgore della collera
e col fuoco della pena
loro, i tuoi bui carnefici,
perforali nella tenebra
della loro intelligenza, scavali
nel macigno del loro nero cuore.
Sii, tra grazia e sofferenza,
grande ancora una volta,
sii splendida, dura
eppure sacrificale.
Ti soccorra la tua pietà antica,
ti sorregga una fierezza nuova.
Sii prudente, sii audace.

Pace, pace, pace.» 

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