Rosario Livatino
Tra le molte vittime di mafia dobbiamo ricordare Rosario Livatino, magistrato Italiano.
Nato a Canicattì, in provincia di Agrigento, il 3 ottobre 1952 da Vincenzo, avvocato di fama, e da Rosalia Corbo.
La sua era una famiglia cattolica praticante e la Fede influenzò molto la sua vita.
Frequentò il liceo classico Foscolo e si diplomò col massimo dei voti (fu ammesso all'esame con 10 in matematica).
Sin da subito si volle iscrivere a Legge perché, a suo dire, "
voleva lavorare per la collettività".
Passò l'esame di giurisprudenza con il massimo dei voti, Tesi di laurea con il prof. Antonio Pagliaro dal titolo "L'autore mediato" sul concorso di più persone a vario titolo di partecipazione nel compimento di un reato. Fece il concorso per lavorare all'esattoria comunale ma rimase lì per circa un anno e mezzo. I suoi colleghi ne ebbero un bellissimo ricordo.
Nel 1978 passò il concorso in magistratura e divenne poi Sostituto procuratore della Repubblica presso la Procura di Agrigento. Scrisse nel suo diario:
"Oggi ho presentato giuramento: da oggi sono in magistratura. Che Iddio mi accompagni e mi aiuti a rispettare il giuramento e a comportarmi nel modo che l'educazione, che i miei genitori mi hanno impartito, esige".
Il Consiglio giudiziario presso la Corte d'appello di Caltanissetta, il 29 marzo 1979, nell'emettere parere positivo al conferimento delle funzioni giudiziarie, ne sottolinea
"il carattere serio e riflessivo, i modi garbati e modesti, il tratto sobrio e contenuto"
evidenziando come lo stesso appaia
"attaccato visceralmente al proprio lavoro e dotato di spiccato senso del dovere, che si concretizza in uno sforzo costante di apprendimento dei dettami della delicata funzione che sarà chiamato ad assolvere".
Inoltre in quell'anno, morendo S.Paolo Vi, scrisse che se n'era andato un pezzo della sua gioventù.
Si interessò subito di indagini di mafia e scoprì importanti intrecci tra massoneria deviata, politici, appalti e clan della zona. Molte le inchieste seguite che ne segnaleranno la bravura.
Indagò sulle cooperative giovanili di Porto Empedocle, crocevia di interessi politico mafiosi, e su di un giro di false fatture che fruttavano decine di miliardi di fondi neri ad alcuni dei maggiori gruppi imprenditoriali Catanesi.
Il 7 aprile 1984 tenne presso il Rotary Club locale una conferenza in cui spiegò il ruolo dell'indipendenza del giudice. Disse, alla conferenza:
"ciò non significa certo sopprimere nell'uomo-giudice la possibilità di formarsi una propria coscienza politica, di avere un proprio convincimento su quelli che sono i temi fondamentali della nostra convivenza sociale: nessuno può difatti contestare al Giudice il diritto di ispirarsi, nella valutazione dei fatti e nell'interpretazione di norme giuridiche, a determinati modelli ideologici, che possono anche esattamente coincidere con quelli professati da gruppi od associazioni politiche".
Il 30 aprile 1986, tenne, presso le suore vocazioniste, un convegno in cui si parlò del ruolo del giudice nella società moderna. Tra il 1984 e il 1988 risultò essere il magistrato più produttivo della Procura di Agrigento.
Nel 1989 divenne giudice a Latere, presso il Tribunale di Agrigento. Lì scoprì il cosiddetto scandalo della " tangentopoli siciliana" in cui erano coinvolti numerosi politici e onorevoli locali, specie della DC.
L'OMICIDIO:
La mattina del 21 settembre 1990 mentre si stava recando al lavoro, Puzzangaro e Pace - che in seguito si pentirono - lo freddarono senza pietà. Le sue ultime parole furono:
"Cosa volete da me, che vi ho fatto picciotti?".
L'indomani l'allora presidente Cossiga definì i giudici come Lui ragazzini e Andreotti non partecipò ai funerali dicendo di preferire i battesimi
Successivamente Wojtyla si recò nella Valle dei Templi esprimendo sdegno e lanciando il monito ai mafiosi di convertirsi.
È aperta la pratica di beatificazione e di santificazione. Riguardo a questo, parla Marilisa della Monica, in un articolo dell'Avvenire, il 6 settembre 2018:
"Il prossimo 3 ottobre (2018, ndr), giorno in cui avrebbe compiuto, se fosse stato ancora in vita, sessantasei anni, si terrà, a porte aperte, l'ultima sessione della fase diocesana del processo di beatificazione del giudice Rosario Angelo Livatino. A darne l'annuncio, nel corso di una conferenza stampa, l'arcivescovo di Agrigento, il cardinale Francesco Montenegro, assieme al giudice delegato che ha condotto tutto il processo a nome dell'arcivescovo, don Lillo Maria Argento ed il postulatore della causa di canonizzazione, don Giuseppe Livatino".
Il processo di canonizzazione sarebbe iniziato nel 2011 come spiega il postulatore Giuseppe Livantino:
"Il ritratto che viene fuori dall'ascolto dei testimoni e dalla lettura delle sue agende è un ritratto quasi a tutto tondo. Non amava parlare di sé Rosario, ma non amava neanche far parlare di sé quindi, per noi, il lavoro è stato abbastanza complesso. Molti dei testimoni poi avevano già lasciato la magistratura ed altri, purtroppo, non erano in condizione di poter dare il loro contributo. Però, nel corso del processo, è emersa la figura di Rosario. Quella di un magistrato integerrimo, cultore determinato del segreto istruttorio, che aveva molto rispetto per l'umanità e la dignità non solo di chi collaborava con lui ma anche nei confronti degli imputati. [...] In tutta la sua vita Rosario non conosce mai la parola "rinuncia" o "sacrificio" ma sempre quella di "scelta". Compiuta la scelta questa doveva essere finalizzata al fare il bene degli altri".