Libero Grassi

08.07.2019

Tra le molte vittime di mafia, dobbiamo ricordare Libero Grassi, imprenditore Italiano che disse di no al pizzo.

Nacque il 19 luglio 1924 da una famiglia catanese. I genitori diedero lui il nome di Libero in onore di Giacomo Matteotti, ucciso un mese prima della sua nascita. La famiglia era antifascista, avversa al partito di Mussolini. Lo stesso Grassi si avvicino nel corso della sua vita al partito d'azione studiando scienze politiche a Roma.

Pacifista e contro la guerra, durante la guerra entrò in seminario, per evitare di combattere al fianco di fascisti o nazisti. Con la fine della guerra riprese i suoi studi a Roma, e nel frattempo studiò anche giurisprudenza a Palermo. Malgrado i suoi studi, seguì la vocazione di commerciante del padre, e dagli anni 50, anche grazie al boom economico post guerra, entrò in contatto col mondo dell'imprenditoria, in particolare nel settore tessile.

Dalla seconda metà degli anni 50 iniziò anche la sua breve carriera politica. Nel 1955 entrò con la moglie nel partito radicale di Marco Pannella.

Iniziò inoltre, nel 1961, a scrivere articoli per diversi giornali, entrando in contatto con il partito repubblicano. Prima di dimettersi nel giugno del 1969, verrà nominato per il partito come:

"suo rappresentante in seno al consiglio di amministrazione dell'azienda municipalizzata del gas".

Nel 1972 si ricandidò, senza essere però eletto.

LA SIGMA E LE PRIME MINACCE:

La SIGMA produceva intimo per uomo, come lo spiega lo stesso Dott. Grassi:

"La "Sigma" è un'azienda sana, a conduzione familiare. Da anni produciamo biancheria da uomo: pigiami, boxer, slip e vestaglie di target medio-alto che esportiamo in tutta Europa. Abbiamo 100 addetti: 90 donne e 10 uomini. Il nostro giro d'affari è pari a 7 miliardi annui".

Un'azienda così sana attira purtroppo gli interessi mafiosi:

"Evidentemente è stato proprio l'ottimo stato di salute dell'impresa ad attirare la loro attenzione".

Libero Grassi raccontò in una lettera la sua prima estorsione, quando gli chiesero "un contributo per i carcerati":

"La prima volta mi chiesero i soldi per i "poveri amici carcerati", i "picciotti chiusi all'Ucciardone". Quello fu il primissimo contatto. Dissi subito di no. Mi rifiutai di pagare". 

Da quel momento iniziarono le telefonate anonime, le lettere, che col tempo aumentarono e si aggravarono:

"Così iniziarono le telefonate minatorie: "Attento al magazzino", "guardati tuo figlio", "attento a te". Il mio interlocutore si presentava come il geometra Anzalone, voleva parlare con me. Gli risposi di non disturbarsi a telefonare. Minacciava di incendiare il laboratorio. Non avendo intenzione di pagare una tangente alla mafia, decisi di denunciarli".

Dopo la denuncia, nonostante la paura, il dott. Grassi iniziò a prendere in giro gli estortori. Con lettere, come quella sul "giornale di Sicilia", con linguaggi tranquilli espose pubblicamente il suo problema:

"CARO ESTORTORE.

Volevo avvertire il nostro ignoto estortore di risparmiare le telefonate dal tono minaccioso e le spese per l'acquisto di micce, bombe e proiettili, in quanto non siamo disponibili a dare contributi e ci siamo messi sotto la protezione della polizia. Ho costruito questa fabbrica con le mie mani, lavoro da una vita e non intendo chiudere... Se paghiamo i 50 milioni, torneranno poi alla carica chiedendoci altri soldi, una retta mensile, saremo destinati a chiudere bottega in poco tempo. Per questo abbiamo detto no al 'Geometra Anzalone' e diremo no a tutti quelli come lui".


A volte si presentavano anomalie nell'azienda, alcune figure misteriose tentavano di introdursi all'interno per "parlare con il Dott. Grassi".

C'è un'esperienza, in particolare che viene raccontata:

"Mentre la fabbrica era sorvegliata dalla polizia entrarono due tipi strani. Dissero di essere "ispettori di sanità". Fuori però c'era l'auto della polizia e avevano grande premura. Volevano parlare a tutti i costi con il titolare. Scesi e dissi loro che il titolare riceve solo per appuntamento e al momento era impegnato in una riunione. Se ne andarono. Li descrissi alla polizia e loro si accorsero che altri imprenditori avevano fornito le medesime descrizioni. Gli esattori del "pizzo", i due che indifferentemente si facevano chiamare geometra Anzalone, altri non erano che i fratelli gemelli Antonio e Gaetano Avitabile, 26 anni. Furono arrestati il 19 marzo insieme ad un complice".

L'ISOLAMENTO:

Mentre il Dott. Grassi vinceva contro le minacce, iniziò l'isolamento da parte delle istituzioni.

Il presidente provinciale dell'associazione industriali contestò il suo lavoro, portandolo ad un isolamento:

"Una bella soddisfazione per me, ma anche qualche delusione; il presidente provinciale dell'Associazione industriali, Salvatore Cozzo, dichiarò che avevo fatto troppo chiasso. Una "tamurriata" come si dice qui.

E questo, detto dal rappresentante della Confindustria palermitana, mi ha ferito.

Infatti dovrebbero essere proprio le associazioni a proteggere gli imprenditori. Come? È facile. Si potrebbero fare delle assicurazioni collettive. Così, anche se la mafia minaccia di dar fuoco al magazzino si può rispondere picche. Ma anche a queste mie proposte il direttore dell'Associazione industriali di Palermo, dottor Viola, ha detto no, sostenendo che costerebbe troppo. Non credo però si tratti di un problema finanziario, è necessaria una volontà politica".

Molte associazioni vennero incontro a Libero, lo sostennero, lo difesero. Ma il colpo più duro arrivò il 4 aprile 1991:

"Non ho mai avuto paura ed ora mi sento garantito da ciò che ho fatto. La decisione scandalosa del giudice istruttore di Catania, Luigi Russo (del 4 aprile 1991) che ha stabilito con una sentenza che non è reato pagare la "protezione" ai boss mafiosi, è sconvolgente.

In questo modo infatti è stato legittimato con il verdetto dello Stato il pagamento delle tangenti. Così come la resa delle istituzioni  e le collusioni. Proprio ora che qualcosa si stava muovendo per il verso giusto.

Stabilire che in Sicilia non è reato pagare la mafia è ancora più scandaloso delle scarcerazioni dei boss. Ormai nessuno è più colpevole di niente. Anzi, la sentenza del giudice Russo suggerisce agli imprenditori un vero e proprio modello di comportamento; e cioè, pagate i mafiosi. E quelli che come me hanno invece cercato di ribellarsi?".


Scriverà su questo Giorgio Bocca:

"Attendiamo una notizia da Catania: il giudice Luigi Russo ha rassegnato le sue dimissioni per motivi di forza maggiore: che ci sta a fare a Catania un giudice il quale in una sua sentenza dice che la mafia regna sovrana, combatterla è impossibile, pagarle le tangenti è lecito, lasciare che uccida o minacci per assicurare la sua protezione agli imprenditori suoi clienti e amici anche.

E' davvero il caso di chiedersi: ma che altro fa, a Catania, un giudice oltre che ritirare lo stipendio?

Il comportamento dello Stato italiano nei confronti della mafia è davvero singolare: più la mafia è forte e più il nostro Stato le offre tutte le armi e le astuzie per restare impunita".


L'OMICIDIO:

Era un tranquillo 29 agosto, quello, uno di quelli in cui a Palermo non c'è nessuno. La gente è ancora in vacanza, ma la città inizia a ripopolarsi.

Quella mattina, era presto, erano le 7.25. Libero come sempre si preparava per andare nella sua fabbrica: la SIGMA.

Libero salutò la moglie che era sul balcone e scese. La scorta non c'era, Libero non la volle, preferì essere da solo.

Nel silenzio di quella mattina un rumore: sembra uno sparo, è uno sparo. La moglie, che era sul balcone, scese immediatamente. Libero è a terra, in una pozza di sangue, nel silenzio di quella mattina.

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