Giangiacomo Ciaccio Montalto
Tra le molte vittime di mafia, dobbiamo ricordare Giagiacomo Ciaccio Montalto, magistrato Italiano.
VITA:
Nato a Milano il 20 ottobre 1941, aveva ben radicato fin da piccolo i valori della giustizia: il padre Enrico era magistrato di Cassazione e il nonno materno Giacomo Montalto era notaio e sindaco di Erice. Il fratello, Enrico, morì all'età di 22 anni in un incidente stradale, era un giovane dirigente comunista.
La sua attività di magistrato iniziò nel 1970, e nel 1971 divenne sostituto procuratore
della Repubblica di Trapani.
I processi a suo carico fin dall'inizio furono incentrati su fatti di mafia o comunque di malavita. Tra questi, uno dei primi fu contro Michele Vinci, il cosiddetto "mostro di Marsala", che nei primi anni 70 aveva compiuto diversi reati, gettando in un pozzo e lasciando morire tre bambine tra cui la sua stessa nipote.
Dal 1977 Ciaccio Montalto avviò indagini più specifiche sul mondo dell'imprenditoria e della mafia: le indagini si basavano su una ricostruzione minuziosa del movimento di denaro che avveniva nelle banche di Trapani (il cosiddetto metodo Falcone, "segui i soldi").
Durante la fine degli anni 70 indagò sul clan dei Minore, su Antonino, Giuseppe e Giacomo Minore. Su richiesta di Montalto i carabinieri prepararono tutte le carte necessarie per ricostruire le attività del clan. In particolare si può notare che il clan era coinvolto in fatti come il finto sequestro dell'imprenditore Rodittis e il sequestro Corleo.
Le indagini di Montalto si spinsero fino in fondo, tanto che il magistrato fece riesumare la salma di Giovanni Minore per verificare che fosse morto di infarto (il clan definì l'azione blasfema).
Nel '79 Ciaccio Montalto chiese il mandato di cattura per traffico di materiale bellico per Antonino Minore; quest'ultimo, però fuggì da Trapani per evitare l'arresto.
Nell'ottobre 1982 il magistrato fece partire dalla procura quaranta ordini di cattura per associazione mafiosa contro uomini d'onore e imprenditori locali, ma per insufficienza di prove furono tutti scarcerati qualche mese dopo.
Date le sue indagini, Montalto ricevette diverse minacce, tra queste una croce disegnata con una bomboletta spray sul cofano della sua macchina.
Riguardo alla vita sentimentale, Montalto visse fino al 1982 con la moglie Marisa La Torre e le tre figlie Maria Irene, Elena e Silvia. Montalto, però nei primi anni 80 richiese un trasferimento a Firenze, per colpa della scarsa risultanza del suo grande lavoro.
L'OMICIDIO:
Giangiacomo Ciaccio Montalto fu ammazzato la notte del 25 giugno 1983 alle 1:30 mentre rientrava a casa, senza scorta e macchina blindata nonostante le minacce.
I vicini non chiamarono da subito la polizia poiché pensavano si trattasse di colpi sparati da cacciatori.
Il corpo fu esaminato la mattina seguente alle 6:45.
I funerali furono celebrati dal vescovo di Trapani, monsignor Emanuele Romano, nella cattedrale di San Lorenzo. Accorse un copioso numero di persone, circa ventimila.
Il presidente della repubblica Sandro Pertini presiedette poche ore dopo una convocazione ufficiale del consiglio superiore della magistratura a Palermo dove disse:
"Il popolo italiano non può essere confuso con il terrorismo e il popolo siciliano non può essere confuso con la mafia ".
LE INDAGINI:
Sull'omicidio fu accusato da subito il boss Salvatore Minore.
Si accertò solo nel 1998 che Minore era stato ucciso nel 1982 dai Corleonesi e che il suo cadavere era stato fatto scomparire, ma 1989 - quindi prima che si scoprisse già morto - fu condannato in contumacia all'ergastolo, per l'omicidio di Ciaccio Montalto, insieme ai mafiosi siculo-americani Ambrogio Farina e Natale Evola, ritenuti gli esecutori materiali del delitto. Ciononostante, nel 1992 i tre imputati furono assolti dalla Corte d'Appello di Caltanissetta e la sentenza d'assoluzione venne confermata in cassazione.
Nel 1995 le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia (Rosario Spatola, Giacoma Filippello, Vincenzo Calcara e Matteo Litrico) portarono all'identificazione dei veri responsabili dell'omicidio: vennero infatti rinviati a giudizio i boss mafiosi Salvatore Riina, Mariano Agate, Mariano Asaro (ritenuto 'esecutore materiale) e l'avvocato massone Antonio Messina, che ordinò l'omicidio per evitare che, col trasferimento di Montalto, potessero essere toccati gli interessi mafiosi in Toscana.
Nel 1998 Riina e Agate furono condannati all'ergastolo in primo grado mentre l'avvocato Messina e Mariano Asaro furono assolti; la sentenza venne poi ri-confermata.
Il giornalista Sebastiano Messina scrisse l'otto settembre 1984 su Repubblica:
"Ciaccio Montalto sta per chiedere il trasferimento, è assorbito da nuove inchieste e così ben presto dell'affare Rodittis se ne occupano solo Costa e Cerami.
E' a questo punto che i Minore corrono ai ripari. Chiedono aiuto ai Bulgarella, potenti e rispettati costruttori, al commendatore Calogero Favata, a Giuseppe Cizio.
C'è una sola strada per evitare la condanna. Corrompere i magistrati. Avvicinato dalle lusinghe degli "insospettabili", Costa avrebbe finito col cedere.
Con Cerami, invece, va male: sdegnato, il magistrato rifiuta, minacciando denunce (ma non farà nulla sino al delitto Ciaccio Montalto). Così, Cerami rinvia tutti a giudizio.
Siamo ai primi del 1983. Ciaccio Montalto ha saputo tutto? Non si sa, ma tre settimane dopo, il 25 gennaio, i killer lo massacrano a Valderice".
Con l'accusa contro Riina, il 31 gennaio 1995 scrissero su repubblica:
" TRAPANI - A dodici anni di distanza la Criminalpol e la Squadra mobile di Trapani hanno fatto luce su uno dei tanti delitti eccellenti, quello del giudice Giangiacomo Ciaccio Montalto, assassinato a Val D'Erice il 25 gennaio del 1983.
Moventi, mandanti ed esecutori sono stati individuati grazie alla collaborazione di quattro pentiti: Rosario Spatola, Giacoma Filippello, Vincenzo Calcara e Matteo Litrico.
Il magistrato trapanese venne ucciso su ordine di Totò Riina perché il giudice aveva dato "fastidio" al capo di Cosa nostra, emettendo un mandato di cattura nei confronti dell'anziano zio, Giacomo Riina.
"Fastidi"; che erano destinati ad aumentare perché il magistrato stava per essere trasferito, su sua richiesta, a Firenze, ed in Toscana lo zio del boss aveva forti interessi economici e criminali.
Riina, hanno raccontanto i pentiti, avrebbe affidato l'organizzazione dell'agguato ai boss trapanesi Mariano Agate ed all'avvocato massone Antonino Messina, entrambi detenuti, che diedero l'ordine ad un loro killer di fiducia, Mariano Asaro (attualmente latitante) di compiere il delitto con la complicità di un altro sicario non ancora identificato.
Nei confronti dei quattro la Procura della Repubblica di Caltanissetta che ha coordinato per competenza le indagini ha chiesto ed ottenuto l'emissione di ordine di custodia cautelare con l'accusa di omicidio".