Boris Giuliano

23.05.2019

Tra le tante vittime di mafia dobbiamo ricordare Giorgio Boris Giuliano, poliziotto e capo della Squadra Mobile di Palermo 

Nato a Piazza Armerina, in provincia di Enna, il 20 ottobre 1930, figlio di un sottufficiale della Marina militare passò parte della sua infanzia in Libia dove il padre si trovava in servizio.

Dopo il ritorno in Italia nel 1931 la sua famiglia, si stabilì a Messina dove studiò Giurisprudenza, laureandosi nel 1956.

Subito aver lavorato in una società manifattoriera, nel 1960 si sposò, a Messina, con Ines Leotta e con la quale avrà tre figli, Alessandro, Emanuela e Selima (Il figlio maggiore Alessandro, diventato anch'egli funzionario della Polizia di Stato, nel 2001 scoprì e arrestò il l'omicida seriale di Padova, Michele Profeta. Successivamente diresse la squadra mobile della questura di Venezia e, dal 2009, di Milano). 

Nel 1962 vinse il concorso come Commissario di Polizia e l'anno successivo, al termine del corso di formazione, chiese e ottenne di essere assegnato alla Squadra Mobile di Palermo, in cui lavorò dapprima alla Sezione Omicidi, poi come vice-capo e poi infine come capo dall'ottobre 1976, quando prese il posto di Bruno Contrada, suo amico fraterno poi accusato di collusione con la mafia. 

Fu il primo poliziotto italiano a specializzarsi all'Accademia Nazionale della FBI in Virginia, dove allacciò importanti relazioni con i colleghi americani, che furono fondamentali nelle indagini sui traffici di stupefacenti di Cosa Nostra. Dopo quell'esperienza, adottò metodi di lavoro innovativi per l' epoca, come le indagini sui conti bancari - poi riprese da Giovanni Falcone - o l'attenzione a non alterare la scena di un crimine. 

Tra le molte vicende di cui si occupò, una in particolare desta ancor'oggi molti interrogativi, legati sia ai motivi che portarono al suo assassinio, sia alle indagini sulla "misteriosa" scomparsa del giornalista Mauro De Mauro.

Nel 1978 Giuliano fu incaricato delle indagini relative all'omicidio del mafioso Giuseppe Di Cristina (questo omicidio fu il preludio della Seconda Guerra di Mafia), che aveva iniziato a passare informazioni ai Carabinieri sui contrasti interni a Cosa Nostra tra le famiglie palermitane dei Bontade-Inzerillo-Badalamenti e il gruppo dei Corleonesi.

Sul cadavere di Di Cristina furono trovati degli assegni che portarono il capo della Squadra Mobile a indagare su un libretto di risparmio al portatore con 300 milioni di lire, intestato a un nome di fantasia, che era stato usato da Michele Sindona. A seguito delle sue indagini Giuliano firmò, il 7 maggio 1979, un rapporto di polizia in cui veniva identificata una vasta associazione criminale dedita al traffico di stupefacenti, di cui facevano parte tra gli altri Gaetano Badalamenti - mandante dell'omicidio dell'attivista Giuseppe Peppino Impastato - e Giovanni Bontate. 

Il 19 giugno 1979, un militare della Guardia di Finanza, in servizio presso l'Aeroporto di Punta Raisi, notò il facchino Paolo Briguglio che stava per prelevare due valigie di colore azzurro sprovviste della relativa etichetta di destinazione. Insospettito chiese al facchino chi lo avesse incaricato, ricevendo come risposta che era stato un uomo di circa 30 anni, con un accento settentrionale, che lo aveva pregato di portare quelle due valigie nello spiazzale antistante l'aeroporto dove si trovava la sua auto. Tuttavia tale individuo non si era più presentato, così, con l'intervento del personale della Squadra Mobile di Palermo, vennero aperte le due valigie: in una vennero rinvenuti 497.916 dollari U.S.A. mentre in entrambe vi erano anche indumenti americani, tra cui magliette in uso nelle pizzerie di New York. In seguito si scoprì essere il pagamento di una partita di eroina sequestrata all'aeroporto J.F. Kennedy di New York. 

Dopo l'arresto per porto abusivo d'arma da fuoco dei mafiosi Antonino Marchese e Antonino Gioè, gli uomini di Giuliano, grazie a una bolletta ritrovata nella tasca di uno dei due, scoprirono il 7 luglio 1979 il covo di via Pecori Giraldi, dove furono ritrovati 4 kg di eroina purissima, armi e munizioni, nonché una patente contraffatta sulla quale era incollata la fotografia di Leoluca Bagarella, cognato di Totò Riina. In un armadio fu ritrovata anche un'altra fotografia che ritraeva insieme numerosi mafiosi vicini al clan dei Corleonesi. 

Subito dopo la scoperta del covo cominciarono ad arrivare telefonate con minacce di morte all'indirizzo di Boris Giuliano. Quello stesso giorno Giuliano si incontrò a Milano con Giorgio Ambrosoli, commissario liquidatore delle banche di Sindona, per approfondire le indagini sul libretto al portatore usato da Sindona. Quattro giorni dopo Ambrosoli venne ucciso da un assassino mafioso, per ordine di Sindona. Qualche giorno prima di morire, dichiarò ai cronisti: 

«Il 28 luglio vi darò una notizia bomba»


Come scritto nell'Ordinanza-Sentenza del Maxiprocesso di Palermo, verso le 8 del mattino del 21 luglio un individuo, poi successivamente identificato in Leoluca Bagarella, si introdusse nel Bar Lux - frequentato quasi ogni giorno da Boris - , in via Francesco Paolo di Blasi 1,7 e sparò diversi colpi di pistola calibro 7,65 contro Boris Giuliano, che si trovava nel locale per bere un caffè. 

L'omicida scappò, raggiungendo a piedi la vicina via Domenico Di Marco e prendendo posto su una Fiat 128, dove lo attendeva un complice. L'auto, rubata il giorno prima, fu poi ritrovata tre ore dopo. 

Ai funerali, il cardinale Pappalardo diede voce al sentimento collettivo e durante l'omelia disse: 

"Faccia lo Stato il suo dovere!".


Il cardinale chiese giustizia citando le parole del profeta Ezechiele: 

"troppi mandanti, troppi vili esecutori variamente protetti, circolano per le nostre strade. Il paese è pieno di assassini".

Fra i testimoni oculari del delitto soltanto il gestore del bar, Giovanni Siracusa, riuscì a fornire una descrizione abbastanza accurata dell'omicida (età circa 35 anni, statura poco inferiore al metro e settanta, corporatura robusta, taglio corto e capelli castano scuri, niente baffi), in base alla quale venne realizzato un identikit per le ricerche, che non diedero tuttavia alcun risultato.

Il 16 dicembre 1979 la Squadra Mobile di Palermo stilò un primo rapporto sulle indagini, ricostruendo la dinamica del delitto e formulando un ventaglio di ipotesi sul movente, richiamando, tra le varie, le sue indagini sul traffico internazionale di stupefacenti con gli USA. 

Un contributo decisivo alle indagini sulla morte di Giuliano fu dato dal capitano dei Carabinieri Emanuele Basile, il quale il 22 aprile 1980 consegnò a Paolo Borsellino un rapporto completo sul traffico di eroina gestito dai Corleonesi, allora in rapida ascesa agli albori della Seconda Guerra di Mafia. 

Il 21 novembre 1980 Bruno Contrada, capo della Criminalpol di Palermo, venne ascoltato dal Giudice Istruttore Rocco Chinnici sul caso e riferì che Boris Giuliano il 20 aprile dell'anno precedente gli aveva trasmesso un appunto manoscritto, che venne acquisito agli atti, in cui vi era scritto:

"Mi è stato confidenzialmente riferito che il movente dell'omicidio Reina è da ricercarsi in un appalto dato dal Comune, per il quale avrebbe percepito 350 milioni. Il o i soci dell' "affare" gli avrebbero chiesto la loro parte e lui avrebbe detto di non aver avuto il denaro. Da qui la vendetta. Il denaro era depositato in una cassetta sotto diverso nome".

Il 4 dicembre venivano quindi acquisiti tutti gli atti relativi all'appalto sulla circonvallazione interna di Palermo, tuttavia la pista fu giudicata subito inconcludente dall'allora capo dell'Ufficio Istruzione, Rocco Chinnici.

L'omicidio di Boris Giuliano finì nella sentenza-ordinanza del Maxiprocesso di Palermo e il movente delle indagini sul traffico di stupefacenti fu confermato anche da diversi pentiti, tra cui Tommaso Buscetta. 

Per il suo omicidio vennero condannati all'ergastolo in via definitiva Riina, Provenzano, Michele Greco, Francesco Madonia, Calò, Brusca, Nenè Geraci, Francesco Spadaro (in qualità di mandanti) e Bagarella (come esecutore materiale), il quale venne riconosciuto tale solamente il 7 marzo 1995.

Boris Giuliano fu "insignito" della Medaglia d'Oro al Valor Civile:

« Valoroso funzionario di Pubblica Sicurezza, pur consapevole dei pericoli cui andava incontro operando in un ambiente caratterizzato da intensa criminalità, con alto senso del dovere e non comuni doti professionali si prodigava infaticabilmente nella costante e appassionante opera di polizia giudiziaria che portava all'individuazione e all'arresto di pericolosi delinquenti, spesso appartenenti ad organizzazioni mafiose anche a livello internazionale. Assassinato in un vile e proditorio agguato tesogli da un killer, pagava con la vita il suo coraggio e la dedizione ai più alti ideali di giustizia. Palermo, 21 luglio1979.»


Sua moglie, Ines Leotta, disse:

"...Mio marito si è occupato di decine e decine di omicidi che hanno insanguinato questa città. Lui era sempre presente, sempre pronto ad accorrere.... Aveva anche un suo stile, che poi perfezionò quando è diventato Capo della Mobile, cioè di essere sempre sul territorio, lui era un tipo che andava a piedi, anche nei mercati.... Parlava con le persone, era anche molto umano e lui era un uomo dello Stato, lui ci credeva profondamente. Se lui si spingeva così nelle indagini è perché lui credeva nello Stato.... Era molto determinato, non credeva di fare nulla di eccezionale, lui credeva di fare quello che era giusto fare..." Paolo Borsellino: "Se altri organismi dello Stato avessero assecondato l'intelligente opera investigativa di Boris Giuliano l'organizzazione criminale mafiosa non si sarebbe sviluppata sino a questo punto, e molti omicidi, compreso quello dello stesso Giuliano non sarebbero stati commessi."

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